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Un Arlecchino di Fausto Melotti alla Pinacoteca di Brera

Aggiornamento: 8 gen

Ben ritrovati al terzo appuntamento della rubrica dedicata alle acquisizioni museali.


Sono molto felice di riportare la notizia che una rara ceramica smaltata policroma dell’artista Fausto Melotti (1901-1986), un Arlecchino del 1950 da poco riscoperto, è stata acquistata dalla Pinacoteca di Brera.

La vendita è stata portata a termine dalla Brun Fine Art e dalla Allemandi Fine Art, importanti gallerie antiquarie con sedi a Milano e Firenze. La notizia è stata confermata anche dalla Fondazione Fausto Melotti presso cui l’opera è registrata.


Fausto Melotti, Arlecchino, 1950. Ceramica smaltata policroma, 78x36x14 cm. Courtesy Fondazione Fausto Melotti, Milano


Nato a Rovereto nel 1901, dopo i primi studi universitari in Fisica Fausto Melotti arriva a Milano negli anni Venti per completare la formazione in Ingegneria Elettrotecnica, laurea che consegue nel 1924 al Politecnico di Milano. Nel 1928 si iscrive all’Accademia di Brera sotto la guida dello scultore Adolfo Wildt e inizia un lungo sodalizio con Lucio Fontana, suo compagno di corso.


Seppur vi era stato da parte di Melotti e per il tramite di Gio Ponti un primo avvicinamento alla ceramica presso la manifattura toscana Richard Ginori, con una breve collaborazione tra il 1929 e il 1930 in vece di progettista e disegnatore, è solo a partire dalla metà degli anni Quaranta che l'artista si dedica a tempo pieno alla produzione di sculture con questo medium, spinto anche dalla necessità di sostenere la famiglia nel difficile dopoguerra.

“Per me la ceramica è pasticcio - dirà in seguito - È una cosa anfibia e sotto sotto c’è sempre un piccolo imbroglio perché non puoi mai sapere esattamente quello che fai. C’è un super regista che è il fuoco, che ti monta sulle spalle e alla fine dirige lui le operazioni”.

Eppure al di là di questa riluttanza solo verbale, Melotti continua a produrre opere in ceramica sino agli anni Sessanta e oltre, rinnovando la più classica tradizione scultorea della prima metà del Novecento con un'audace e inventiva manipolazione di forme, volumi e sfumature, senza rinunciare a una propria autonomia stilistica e voluta ironia e leggerezza.

Sin dall’inizio l’artista non modella solo ciotole, piatti e vasi dalla forte connotazione simbolica (vasi-clessidra, vasi-sole, vasi-collare), ma anche figure e animali allegorici e non trascura di collaborare alla realizzazione di progetti di decorazione architettonica (decorazioni parietali ad altorilievo, fregi e camini) in Italia e all'estero, nuovamente al fianco di Gio Ponti o Melchiorre Bega.

È la figlia di Gio Ponti, Lisa, una delle prime a utilizzare alla fine degli anni Quaranta sulla rivista Domus il termine barocco in associazione alla scultura-ceramica di Melotti (e Fontana) definendola: “scultura a fuoco, scultura con colore, volumi colorati. Questo intervento vivace della ceramica è, per certi aspetti, un po’ come una fioritura barocca, provvisoria, estrosa..”.


Vale la pena ricordare, infine, come lo stesso Fontana avesse eseguito nel 1948 un imponente Arlecchino, ma in mosaico, per l’interno del Cinema Arlecchino di Roberto Menghi a Milano e come Melotti nel 1950 avesse realizzato in ceramica un'altra famosa maschera dell'arte, Pulcinella, per il vestibolo del transatlantico Conte Biancamano in servizio da Genova a Buenos Aires.

Era l’inizio del Made in Italy.

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